Buona domenica
don Giulio
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VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio.
I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei
la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni
dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il
nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà
Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si
chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse.
Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti
furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua
lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione
montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro
che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai
questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il
bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni
deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
RIFLESSIONE
24 giugno 2012
TOGLIERSI I SASSOLINI DALLE SCARPE
Festa di San Giovanni Battista
È raro che il 24 giugno cada in domenica e quando succede
la festa della nascita di San Giovanni Battista prevale.
Per di più è l'unico santo che ha due date nel calendario liturgico:
di lui si celebra sia la nascita che la morte.
Di solito dei Santi si celebra la morte come "nascita al
cielo".
È un santo particolare anche solo perché muore prima di Cristo,
quindi potremmo dire che "non è mai stato cattolico".
Non è mai andato a Messa (non c'era ancora)
eppure è il santo a cui sono dedicate più chiese nel mondo.
Ventitre papi presero il suo nome. L'ultimo Giovanni XXIII.
Anche i nomi delle note musicali (Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si)
hanno a che vedere con Giovanni Batista:
sono desunte dalla prima sillaba dei sette versi della prima strofa
dell'inno liturgico composto in onore di questa festa.
Perché la data del 24 giugno per stabilire la sua nascita?
Nell'annunciare la nascita di Cristo a Maria l'angelo le dice
che sua cugina Elisabetta (madre di Giovanni) è al sesto mese.
Dunque si sceglie il 24 giugno: 6 mesi prima di Natale.
Naturalmente questa data ha valore simbolico e non storico.
Il nocciolo del mistero sta, come abbiamo sentito nel Vangelo,
nel nome: "Giovanni" che in ebraico significa "dono di
Dio".
Letteralmente: Dio ci ha fatto grazia, ci ha fatto un regalo.
Se un padre non dava il nome, il neonato veniva ucciso.
Il nome è la parola che un genitore mette indelebile sul figlio
e lo fa esistere non come "un uomo" ma come
"persona",
come identità: io sono "Giulio".
Da quel momento si affaccerà e presenterà sempre così alla vita.
È una seconda generazione: la prima è fisica, la seconda è vitale.
Dare il nome è un gesto d'amore intimo. È un gesto di creazione.
Tant'è vero che solo l'amore può cambiare il tuo nome,
solo l'amore plasma "nomignoli" che contengono una storia,
solo l'amore crea una nuova identità legata ad una storia di vita.
C'è quel verso amaro di Pierre Louys in Afrodite:
"Le donne non hanno più alcun nome nelle braccia degli
amanti".
O quella di Joe Namath:
"Fino a 13 anni pensavo che il mio nome fosse Zitto-tu".
Dio è più attento alla nostra felicità che alla nostra fedeltà.
A lui interessa la nostra realizzazione,
come Giovanni ha compiuto la sua vita come "Battista"
cioè come colui che ha saputo intuire la presenza di Dio.
Si racconta che quando fu consegnata al Papa Giulio II
la possente statua del Mosè di Michelangelo,
il Papa restò meravigliato e stupito della bellezza.
Lo stesso artista, finendola, le scagliò contro un martello
gridando "parla!", tanto sembrava perfetta.
Il Papa chiese a Michelangelo come avesse fatto
e il geniale artista rispose: “È stato semplice:
ho preso un blocco di marmo
e ho tolto via tutto ciò che non era Mosé”.
Oggi pensiamo al nostro nome, quindi al nostro essere.
Pensiamo a tutto ciò che non è "Mosé", che non è
"Giulio",
a tutto ciò che ci rende diversi dal capolavoro
che è il modo con cui Dio sogna ciascuno di noi.
Dio vuole liberarci da tutto ciò che non è noi stessi
e ridarci quella Libertà che è la pienezza della vita.
Dio vuole liberarci dalle zavorre che ci imprigionano.
Non sono le montagne a bloccare gli uomini che le scalano,
ma i sassolini nelle loro scarpe.
Il Vangelo oggi ci chiede di toglierci i sassolini dalle scarpe
per arrivare ad essere quel "Giovanni", quel "dono di
grazia",
quel "Mosè", cioè quell'opera d'arte che chiede di
essere liberata.
Riscopriamo la dignità del nostro nome di Battesimo.
C'è chi ci vede macigno e chi ci vede opera d'arte.
È la differenza tra lo sguardo opportunista e gli occhi dell'amore.
Chi ti usa ti imprigiona. Chi ti ama ti libera.
Chi ti usa vuole che tu sia come dice lui,
chi ti ama vuole che tu sia pienamente te stesso.
Dio ama così.
Impariamo anche noi ad amarci, ad amare e a farci amare così.
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