venerdì 16 marzo 2012

Don Giulio, domenica 18 marzo 2012


Buona domenica
don Giulio

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VANGELO DI RIFERIMENTO

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente
nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha
tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede
in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha
mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il
mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato;
ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel
nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno
amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce
perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità
viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono
state fatte in Dio».



RIFLESSIONE

18 marzo 2012
IL NOME DI DIO È: "NON ABBASTANZA"
4a domenica di Quaresima B


Se il nostro bisogno più grande fosse stata la cultura,
Dio avrebbe mandato a noi un filosofo.
Se il nostro bisogno più grande fosse stato il denaro,
Dio avrebbe mandato a noi un economista.
Se il nostro bisogno più grande fosse stata la tecnologia,
Dio avrebbe mandato a noi uno scienziato.
Se il nostro bisogno più grande fosse stato il divertimento,
Dio avrebbe mandato a noi un clown.

Ma, se il Padre ci ha dato suo figlio,
allora quale è secondo Dio il nostro bisogno più vero?

“Dare un figlio” è in assoluto il più grande gesto d’amore.
Nel “dare (al mondo) un figlio” una donna e un uomo,
toccano il punto della terra più vicino al cielo,
in quanto partecipano della stessa potenza di Dio creatore:
danno la vita, impedendo al mondo di spegnersi nel buio.

È curioso che noi usiamo come opposti “vita e morte”,
ma se ci pensiamo il contrario di “morte” è “nascita”,
e non “vita”. “Vita” non ha il contrario.

Il romanziere greco Kazantzakis racconta di un eremita
che insisteva a chiedere a Dio quale fosse il suo vero nome.
Un giorno percepì la voce di Dio che gli disse:
“«Non abbastanza» è il mio nome
ed è quello che ogni giorno grido in silenzio
a chi ha il coraggio di amare e di lasciarsi amare”.

La vita non è mai abbastanza. Dio è “non abbastanza”.

Questa è la grande domanda di senso che Nicodemo raffigura.
È il saggio, l’uomo di cultura, che va a Gesù di notte,
di nascosto, tra i dubbi della ragione e della fede.
Cristo oggi, qui, si trova davanti me, te, ciascuno di noi,
con i nostri più segreti interrogativi profondi di fede e di senso.

Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio
ma sapeva che se avesse provato ad entrare nel nostro cervello
non avrebbe trovato posto a causa del gran disordine
e allora ci ha preso per la gola: si è fatto mangiare.
Sì, ci ha dato suo Figlio su un piatto d’argento!

Come non si può vivere senza cibo, non si vive senza amore.
È curioso notare che gli innamorati perdono l’appetito
e chi è senza amore si abbuffa per compensare
ed è significativo che in ogni cultura e religione il mangiare
sia collegato alle relazioni più importanti: a Dio (nei riti)
e all’amore (chi non ha mai detto: “Ti mangerei di baci”?).

Gesù risponde provocandoci: “La luce è venuta nel mondo
ma gli uomini hanno preferito le tenebre”.
Ci insegna a non divorare la vita ma a centellinarla,
è troppo delicata e raffinata per divorarla senza masticare:
il rischio è ingurgitare esperienze fast-food, precotte,
ma alla fine non ti ritrovi che una bella ulcera.

I peccati più pericolosi (e gravi) sono “le omissioni”
perché sono contro l’amore: lo sciupano, lo rendono scialbo.
Se Dio è amore e ci ha tanto amato da darci suo Figlio,
allora Dio ama tutto ciò che è bellezza, qualità, raffinatezza:
se la fantasia è il genio dell’amore, la raffinatezza ne è la prova.

Non basta una vita “buona”, occorre che sia anche “bella”.
Per questo a volte anche il superfluo è necessario.
In determinate circostanze un fiore in tavola può essere
più necessario del pane, la musica più della minestra,
il profumo più del vestito, la raffinatezza più del contenuto.

A Cana la Madonna ha detto a Gesù: “non hanno più vino!”
quasi a dire: è drammatico perché non hanno “il di più!”
Il “di più” è la fantasia frizzante e gustosa dell’amore.
Giovanni Paolo II amava dire: “la misura alta della vita”.

La tradizione antica della Chiesa chiama questa domenica
di metà quaresima “laetare”, cioè “della gioia”.
Il segreto della gioia e dell’amore coincide con il nome di Dio:
“non abbastanza”.

Non è il volere “qualcosa di più”, ci troveremmo ingolfati.
Non è il volere “il meglio”, ci sentiremmo mai adeguati.
A volte il meglio è nemico del bene, perché rischia
di non far gustare quello che si è e che si ha già.

È “il volere il bene”, che è molto di più del “voler bene”
(non è solo un articolo “il” in più, c’è una densità diversa).
È il “volersi bene” e questo non è mai abbastanza.

Dio è così, Dio fa così, Dio ci insegna ad essere così.

sabato 3 marzo 2012

... e sarà Tanzania!

Cara Suor Beatrice,
siamo a un crocevia, uno dei Suoi tanti incroci!
Strade che si uniscono, che si dividono: semplicemente "strade terrene" che, sino a quando Lui non deciderà che "quello" è il nostro traguardo, il nostro punto di Arrivo dove Lui è lì pronto ad accoglierci, sono strade che ci è donato di percorrere e sempre "fidandoci di Lui!".
Sono strade terrene!
Strade che siamo felici di percorrere quando incrociamo la strada di altri che sentiamo "prossimi" perchè simile è la nostra storia, ma proprio perchè radicata nella stessa fede; cammino tante volte pesante, sofferto, proprio faticoso quando "chi" incrociamo ci è d'ostacolo, è pietra d'inciampo!... e quanti sono quelli che "si aspettano" di vederci cadere, ancor di più di veder "barcollare la nostra fede!"
Sì, in verità può anche capitare che in talune gravi circostanze e presi da grande sconcerto la prima reazione potrebbe essere quella "della resa", di arrenderci al nemico!...ma il "Suo oltre buono" è sempre lì, chiaro, nel nostro cuore! E il nostro cuore che ama, non smetterà mai di amare perchè sa, sente, di "Essere amato da chi è Avanti e Oltre" e ci vuole solo bene!
Sentiamoci unite sempre, sentiamoci insieme, in cammino per quelle vie che il cielo, l'immenso Suo, non dividono mai perchè la nostra guida sicura è Lui.
Lui con noi sempre e ovunque.
Con tutto il nostro bene! grate a Dio che ci ha incrociate!
Marcella e Gabriella
...la via della Tanzania è fuori rotta, ma la via del cuore è diretta!

venerdì 2 marzo 2012

...mmm...!!!

... pensieri, pensieri, pensieri!
Non posso lasciarmi scalfire dagli eventi negativi di questi giorni che attanagliano, fanno soffrire e tanto "l'amore della mia vita!"
Non debbo!
Verrebbero meno tutti gli esempi, i messaggi di luce, di forza, di speranza che quotidianamente, costantemente, incessantemente dico e ridico a dissipare ogni increscioso intoppo che inevitabilmente attraversa la mia vita, come quella di marito, figli, mamma, fratelli,...ogni altro che incrocia il mio cammino!
La mia lettura dell'evento è sempre altra cosa!
E' sempre l'intervento buono di Colui che, amandoci, pensa a noi e anche attraverso la contrarietà, rimedia, recupera, ogni male al bene! anzi, ha proprio bisogno di questo per dimostrarsi in tutto il Suo Amore, anche permettendo a noi di amare...e di insegnarla la bellezza dell'amore!

Signore, vivere seguendo Te, se è vero che ci fa liberi, e questo ci rende felici, ci dona anche di vivere, di provare sino in fondo la durezza, l'asprezza, la cattiveria sottile o evidente di chi ci vorrebbe piegati, riverenti, assecondanti: sottomessi! ma tutto questo è quanto noi ,riconosscenti a Te, riserviamo solo a Te.
Chi Ti ama Ti segue e bandisce dalla sua vita tutti i compromessi e allora è quasi inevitabile che, in attesa del Tuo agire giusto, ne paghi le conseguenze!
Questa è la storia che anche Tu hai vissuto accettando di vivere da uomo normale, come noi, la Tua vita qui in terra.
Questo il Tuo esempio che si è fatto messaggio chiaro, semplice, per tutti coloro che da qui a quando Tu vorrai riunito in cielo, dovranno passare, come Te, attraverso le cose di questo mondo!
Sì, le cose di questo mondo, cose umane che per divenire divine, come Tu vuoi che ognuno di noi possa divenire, abbisognano dei passaggi della purificazione: le prove che ci liberano dalle scorie, che ci rendono puri di cuore!

Così è la nostra storia terrena.
Signore, io oggi qui ora ho però bisogno di sentirmi amata!

Soprattutto ho bisogno, anzi, davvero voglio proprio vederlo il Tuo Amore buono che si rende manifesto nella redenzione dei fratelli!
Ti chiedo, ti prego, cambiale tu queste cose brutte!...noi la nostra parte, come vedi, continuiamo a farla!
Non scendiamo a compromessi, non ci pieghiamo a riverire chi non è Dio, chi crede di essere "il signore in terra", no!
Perchè l'Unico Signore Gesù, il Cristo, sei solo Tu! e sei in Cielo e inondi la Terra e questi ne offuscano la Tua Luce!

Non voglio cambiare io: non metto in dubbio il tuo Amore e aspetto i Tuoi tempi, rispetto i Tuoi tempi....ma accorciali un po'!...

... voglio raccontarle sempre le Tue cose belle! Forse Ti ho troppo decantato e per questo hai voluto smentirmi? ma non ho parlato male di Te anzi, Ti ho applaudito!
Vedi, Tu sai quanto amo alimentare la Speranza di tutti, sempre, o lo sconforto porterebbe allo sfacelo, alla distruzione dei cuori: e io voglio cuori ricchi di amore, di speranza, desiderosi di Te, sempre!

Tu voglia, presto, ancora, stupirmi con le meraviglie che solo Tu, col Tuo Amore, mi sai dare!

Don Giulio, domenica 4 marzo 2012


Buona domenica
don Giulio

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VANGELO DI RIFERIMENTO

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li
condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato
davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime:
nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve
loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola,
Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre
capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti
che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì
con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio,
l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non
videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal
monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto,
se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi
tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere
dai morti.


RIFLESSIONE


4 marzo 2012

IL VOLTO TRASFIGURATO
2a domenica di Quaresima A



Noi siamo davanti oggi non ad una pagina da leggere
ma ad un album di fotografie da sfogliare.
Siamo davanti alla bellezza di alcuni volti.
Vogliamo guardare all’intensità di questi volti,
vogliamo cercare di incrociare la profondità dei loro sguardi.

E apparve Gesù tra Mosè ed Elia.
Mosè è colui che ha annunciato la terra promessa.
Elia è colui che ha annunciato l’arrivo del Messia.
Mosè offre il dono di Dio, Elia offre la promessa di Dio.
Mosè ha dato la legge, Elia ha aperto la profezia.
Mosè è la memoria del passato, Elia è la speranza del futuro.

La nostra vita si pone sempre tra questi due volti:
tra il “già” (di Mosè) e il “non ancora” (di Elia),
e il Vangelo ci dice che Gesù sta nel mezzo.

Il Signore si mostra sempre così, tra Mosè e Elia:
conosce il nostro passato per aprirci un nuovo futuro.

Papa Giovanni diceva: “Il cristiano deve sempre avere
la Bibbia in una mano e il giornale nell’altra”.

Gesù si mette tra il “già” che è la sua Parola: la Bibbia
e il “non ancora” che è la nostra vita: il giornale.

Cosa vuol dire vivere con in mano la Bibbia e il giornale?
Significa coltivare tre qualità con cui colorare le giornate:
la speranza, la generosità, la tenacia,
come ci suggeriscono altri tre volti di questa scena:
Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni.
Pietro è il traditore che si vede perdonato.
Ci insegna la speranza, la capacità di sorridere alla vita
perché oltre ogni lacrima amara, oltre ogni fallimento,
anche oltre la notte più buia c’è sempre una nuova alba.

Giacomo, è il primo degli apostoli a morire per Gesù,
proprio lui che aveva chiesto a Gesù di stare alla sua destra,
cioè di dargli il posto più importante “sopra” gli altri.
Ci insegna la generosità: dall’orgoglio di essere “sopra”
alla felicità di essere importanti “per” gli altri,
donando non quello che si ha, ma quello che si è.

Giovanni, è l’unico discepolo che arriva sotto la croce.
Ci insegna la tenacia, il coraggio della fiducia,
anche quando non capisci o non vedi via d’uscita.
Non si è arreso, non è scappato, è andato avanti a testa alta.

C’è ancora un volto da guardare: il volto luminoso di Gesù
che sussurra teneramente ai suoi: Alzatevi, non temete!
Torniamo a valle… Bisogna tornare alla vita di sempre…
Gesù non annulla i nostri dubbi e le nostre debolezze:
ogni giorno siamo immersi nella “nube” della nostra fragilità,
e talvolta anche nell’oscurità dei nostri ripensamenti.

Potremmo rileggere alla luce di Cristo quanto laicamente
ma simpaticamente diceva Bob Marley:
“Non avere paura del domani,
in fondo oggi era il giorno che ti faceva paura ieri”.

Che il Signore ci insegni a pregare con la Bibbia e il giornale,
a portare il suo volto luminoso nella nostra buia normalità,
impastando con serenità l’amore che lui ci dona gratis
con la concretezza della fragilità della nostra vita di sempre.

Ogni volta che cercheremo di vivere così
trasfigureremo noi stessi e trasfigureremo il mondo.

Don Giulio, domenica 26 febbraio 2012


Buona domenica
e buon inizio Quaresima

don Giulio

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LETTURE DI RIFERIMENTO

Dal libro della Gènesi
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io
stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di
voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e
animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca,
con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con
voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né
il diluvio devasterà più la terra». Dio disse: «Questo è il segno
dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è
con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle
nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando
ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò
la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni
carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere
ogni carne».

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto
rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie
selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato,
Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il
tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete
nel Vangelo».



RIFLESSIONE

26 febbraio 2012

TI DEVO PARLARE
1a domenica di Quaresima B

“Ti devo parlare”. Questa espressione sulla bocca di un capo,
di un preside, di un prete, genera una tempesta di interrogativi:
“Cosa vorrà dirmi? Su quale polemica mi vorrà portare?”.

“Ti devo parlare!”. Quando ci dice così nostro padre o madre,
un amico a cui teniamo molto, o ancor più chi amiamo
è ancora peggio e frullano in noi esami di coscienza lampo:
“Dove ho sbagliato? Quale rimprovero deve farmi?”.
Così a volte per giorni ti tormenti passando al setaccio
tutto quello che hai detto, fatto, chiedendoti:
“Chissà cosa gli hanno raccontato, chissà cosa mi aspetta?!”.

Invece mi è capitato (spero anche a voi) che al dunque
quando mi ero preparato al peggio mettendomi sulle difensive,
quello che mi aspettavo come rimprovero
mi è stato meravigliosamente consegnato come un dono:
“Volevo stare solo con te, per darti questo regalo”.

Dio oggi ci dice: “Ti devo parlare!”. Come lo interpretiamo?

Per vedere cosa vuole, noi andiamo da lui, a Messa.
Il nostro “andare a Messa” racchiude tutta la nostra vita:
la Messa comincia a casa nostra, quando diciamo “vado”,
continua sulle strade che ogni giorno facciamo per altro,
e poi la Messa finisce a casa nostra,
quando torniamo a vivere la solita vita di sempre.
Arrivando da strade diverse, con aspettative e umori diversi,
ci troviamo “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito”:
è il contatto che ci unisce e lo start che fa ripartire alla fine.

Il segno della croce è un profondo gesto di fede.
Occorre restituirgli tutta questa sua profondità e importanza.
Facciamo in modo che questa croce ci copra in lungo e in largo,
ci rivesta completamente, vesta ogni angolo del nostro corpo.

Che tristezza quando è ridotto tra la punta del naso e il mento,
quando ci crea più imbarazzo di tante stupidate che diciamo,
quando sgorga spontaneo solo davanti alla paletta della polizia.

Fare il segno della croce è ritrovare le mie coordinate
(nord sud ovest est) e la mia dimensione (base per altezza),
è cercare ciò che dà unità alle dinamiche del mio vivere:
testa, pancia (problemi), cuore, spalle (pesi da portare).
È un gesto che raccoglie e avvolge (sopra, sotto, destra, sinistra).

Interessante che nel Vangelo il tentatore è chiamato “Satana”:
in ebraico letteralmente significa “divisore, disgregatore”
(in greco il verbo è “dia-ballo” da cui deriva “diavolo”).

Recuperare il nucleo è il senso del gesto che la tradizione
ci insegna a fare ogni volta che si entra in una Chiesa:
intingere la mano nell’acqua santa per farsi il segno della croce.
Non è la lavatrice per lo sporco dei peccati, ma è molto di più
e, positivamente, il ricordo del nostro Battesimo.

Entriamo nella casa di Dio come figli nella casa del padre,
non entriamo da sudditi allo sgabello del sovrano,
non entriamo da imputati nel tribunale di un arcigno giudice,
non entriamo da turisti in un museo.

Sarebbe unito a quel raggomitolarsi che è la genuflessione:
quando Dio crea l’uomo impasta la terra (torno da dove vengo)
con l’acqua che viene da sé (la saliva): allora quella goccia
d’acqua sulle mie mani mi risolleva e mi riplasma.

Il segno della croce è il gesto del rimodellare ciò che sono
a immagine e somiglianza di un Dio che è amore e vita nuova,
al di là delle mille deformazioni che ogni giorno prendo
o delle diverse ammaccature dovute agli scontri quotidiani.
Proprio perché sono fragile, come creta, posso essere nuovo.
Se fossi duro e perfetto come marmo posso solo spezzarmi.

Mi piace l’idea che uscendo di chiesa non serva più intingere
la mano nell’acqua benedetta: l’ho incontrato, mi ha rialzato,
mi ha parlato, ma molto di più l’ho dentro di me,
addirittura l’ho “mangiato”.

All’entrata, con il gesto dell’acqua,
si rinnova simbolicamente la scelta di essere “credenti”,
all’uscita il gesto simbolico è l’aprire la porta sulla strada:
la vita quotidiana ci chiede di essere “credibili”.

Colui che ho incontrato poi devo viverlo. Non posso dirgli
per mezzora “stai con me, vieni da me, sei importante per me”
e poi sulla porta dirgli “ci vediamo un’altra volta”.
Non c’è bisogno di salutarlo, perché lui sta uscendo con me,
mi accompagna, fa la strada con me.
È dentro me e per riuscirci si è persino fatto mangiare.

Significativo nella prima lettura: il segno di Dio è l’arcobaleno.
Uno strumento di guerra che annuncia la pace dopo il diluvio
e che ci fa alzare uno sguardo sorridente nel vedere colorato
quel cielo che spesso ci offre solo nuvole grigie.

Ogni segno di croce è un arcobaleno che coloriamo sul cielo
delle nostre relazioni e aspettative. Disegniamolo bene!

In questo senso la Quaresima è un tempo “favorevole”.
Non chiede un “di meno”, ma un “di più”.
Non chiede una “dieta” ma una nuova energia di vita.

Dio ci dice: “Ti devo parlare, per stare solo con te,
per darti questo regalo che è la passione per la vita,
che è il potere di disegnare arcobaleni”.