sabato 30 giugno 2012

O.P. omelie domenicane: 12^ domenica, SS.Pietro e Paolo, sabato 12.a sett, 13^ domenica




13ª dom. ord., B, ’12 – domenica della solidarietà


Gesù guarisce, anzi risuscita, una ragazzina, e cura una donna affetta, da molti anni, di continue emorragie. Il Signore ci guarisce prendendo su di sé le nostre infermità, addossandosi le nostre malattie, come dice il profeta Isaia. Gesù si è addossato anche i nostri peccati, portando le conseguenze del male che abbiamo causato noi, a noi e agli altri, con le nostre azioni. Chiediamo perdono, al Signore e gli uni agli altri, per il fatto di farci male a vicenda.

Due cose grandi ci dice la sacra Scrittura. Primo che le malattie e la morte non vengono da Dio: Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi, fossero pure animali. Egli ha creato tutte le cose perché esistano. Secondo, che tutte le cose sono buone in se stesse, anche le zanzare e i virus, anche se poi ci pungono e ci causano male. Certo, uno può dire che le malattie appartengono per natura alle cose materiali: la materia infatti si deteriora, muore. Anche le pietre, anche le montagne, si deteriorano e crollano. Ma il discorso qui riguarda in particolare l’uomo, del quale si dice: Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, avendoci fatti a sua immagine. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo, cioè per il peccato, per essersi, l’uomo, non più fidato di Dio, di essersi fidato di più del demonio, ricadendo nella propria materialità.

Affermazione forti, queste, in positivo e in negativo. In positivo, riguardo alla bontà delle cose e della vita e delle intenzioni di Dio verso di noi. In negativo, perché ci pongono davanti le nostre responsabilità: noi siamo ciò che abbiamo scelto di essere. Ognuno è fabbro, artefice, della propria vita. Certamente non solo in senso individuale, ma soprattutto in senso collettivo. Guardiamo al grande problema ecologico, dell’equilibrio di natura. Anche le situazioni di crisi che stiamo attraversando sono frutto dell’uomo, e ne fanno le spese anche persone innocenti. Ma tutti abbiamo qualcosa di cui rimproverarci: la società, come una comunità, è il frutto del comportamento di ciascuno di noi. Certo i terremoti, e la morte, non dipendono da noi (almeno pensiamo), ma il modo di reagire e di essere solidali nei terremoti, questo sì. Così è anche per quanto riguarda il curare o anche solo portare sollievo ai malati, agli anziani, ai bambini rimasti orfani, per morte o per separazione dei genitori. Certo non serve, e non ci tira su, colpevolizzarci a vicenda, rendendo le nostre relazioni ancora più difficili.

San Paolo nella 2ª lettura, ci suggerisce la via della condivisione, della solidarietà. Lo fa parlando di situazioni concrete di disagio economico di alcuni fratelli nella fede, ai quali invita a venire incontro, ognuno secondo le proprie possibilità e disponibilità. Non si tratta di diventare poveri noi per fare ricchi gli altri. Si tratta di fare la pari, di dividere il nostro pane con chi non ne ha, i vestiti con chi non ne ha. Possiamo anche aggiungere: dividere la casa con chi non ne ha. Un problema anche per i nostri conventi mezzi vuoti, cosa farne. Certo anche questa solidarietà è da intendere in senso ragionevole, non in assoluto, perché ognuno, anche chi è in necessità, deve fare la propria parte e rimboccarsi le maniche per quello che può; non si può vivere unicamente di assistenzialismo, non è giusto. Ma quanto è difficile, anche in questo campo, essere giusti, nelle nostre azioni ma soprattutto nei nostri giudizi.

Certo san Paolo porta un esempio che ci inchioda: Cristo da ricco che era si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo del suo farsi povero per noi. Sinceramente, restiamo senza parole. C’è quel grande inno al cap. 2° della Lettera ai Filippesi: abbiate in voi i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo Dio, spogliò se stesso, rinunciò alle sue prerogative divine, divenendo un uomo, umiliandosi fino a farsi nostro servo, abbassandosi, annientandosi, fino alla morte e alla morte di croce. Quando canto queste parole da un lato mi vergogno di me stesso, dall’altra canto di gratitudine al mio salvatore e Signore. Fin qui vi ho amati, egli ci dice. Noi, fin dove sappiamo arrivare?

Chiediamo al Signore che dica anche su di noi quelle belle parole: Talità, Kum. Alzati. E riprendiamo a camminare.



Sabato 12ª sett., ‘12

Dopo la memoria di ieri, dei santi Pietro e Paolo, oggi si ricordano tutti i primi martiri romani. Pietro e Paolo non furono gli unici, e nemmeno i primi, a testimoniare con la loro vita la loro fede e la loro fedeltà a Cristo. Molti morirono prima e con loro, e dopo di loro.

I martiri che ricordiamo oggi si riferiscono in particolare all’epoca di Nerone, intorno all’anno 64 dopo Cristo quando l’imperatore, per costruire una città più bella, diede ordine di dare fuoco alla vecchia città, dando poi la colpa ai cristiani, come dice lo storico Tacito, aizzando così la gente contro di loro. Molti furono crocifissi e, cosparsi di pece, bruciati vivi nei giardini di Nerone. La comunità romana, dopo la breve persecuzione di Gerusalemme dove morirono Giacomo e Stefano, fu la prima a subire persecuzione così estesa. Non conosciamo il numero di questi martiri: fu tutta una comunità tenuta in scacco, variamente perseguitata, e uccisa nei suoi migliori testimoni. Da Nerone in poi, anche in seguito, a più riprese, i cristiani furono perseguitati, dentro e fuori Roma, fin dopo Costantino, quindi per quasi 300 anni.

Bene si applicano a questa situazione della chiesa di Cristo, le Lamentazioni del profeta Geremia sulla sorte di Gerusalemme, occupata e distrutta dagli assiro-babilonesi, con i suoi abitanti spogliati di tutto e deportati. Abbiamo ascoltato un passo del cap. 2. Facciamo nostro l’esortazione del profeta: grida dal tuo cuore al Signore, fa scorrere le tue lacrime giorno e notte, non darti pace, effondi coma acqua il tuo cuore davanti al Signore, alza verso di lui le mani per la vita dei tuoi bambini che muoiono di fame all’angolo di ogni strada. Queste parola fanno ricordare anche la situazione di tanti popoli ridotti alla fame, di tante comunità ancora attualmente martirizzate e Africa e non solo.

Ci sorregga il racconto evangelico: verrò e lo curerò, dice il Signore. Ma sia nostra supplica l’umile preghiera di quel centurione: Signore non sono degno; ma se tu vuoi, è sufficiente una tua parola. Sulla croce egli prese su di sé le nostre infermità, si è addossato le nostre malattie. Così egli ci ha liberato, tracciandoci una strada di come e cosa fare anche noi per i nostri fratelli.



 
Ss. Pietro e Paolo

Festa dei santi Pietro e Paolo. Preghiamo per il papa e tutti i missionari. Il Signore Gesù aiuti anche noi nella fedeltà a lui. Chiediamo perdono delle nostre infedeltà e pigrizie.
La liturgia e anche l’iconografia antica ricordano insieme questi due apostoli, due colonne della chiesa, il primo come pastore della Chiesa delle origini nella sua prima esperienza di vita ed espansione missionaria; il secondo come evangelizzatore e fondatore di chiese nell’Asia minore, e in Grecia. Ambedue morirono martiri a Roma in due modi e due luoghi diversi, il primo in croce, il secondo con la decapitazione; nel cimitero Vaticano uno, fuori città l’altro, e furono sepolti nelle rispettive basiliche che sorsero sulle loro tombe: san Pietro sul Vaticano, san Paolo fuori le mura.

Le due prime letture bibliche si riferiscono: la prima alla prigionia di Pietro a Gerusalemme, la seconda alla esperienza spirituale di san Paolo che nella sua seconda lettera a Timoteo riassume in poche parole la sua vita. Il primo liberato e sorretto dall’angelo di Dio, il secondo, già anziano, che traccia come un suo testamento, che vorrei fosse anche il mio e di tutti voi: è giunto il momento di sciogliere le vele, ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede… Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza per la mia missione, il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno. Facciamo nostra questa professione di fede.

Il testo evangelico mette in evidenza la missione di Pietro (e del papa), che è quella di confermare nella fede i propri fratelli e fare da riferimento visibile per l’unità dei cristiani. L’allusione alle chiavi è quella al maggiordomo, al responsabile della casa. Delicata missione del papa.

Pietro e Paolo, e lo ascolteremo nella preghiera del prefazio, rappresentano due modi di essere nella chiesa e servire Cristo. Con doni diversi hanno edificato l’unica chiesa. Più pastore il primo, più teologo il secondo, il primo come padre delle comunità costituite, il secondo come fondatore di chiese tra i pagani. Due impegni che devono caratterizzare anche la nostra vita: costruire la comunità, ma con uno sguardo ampio all’azione missionaria presso tutti i popoli. Il Signore ci accompagni nella fedeltà a lui.




12ª dom. ord., B, ’12 – domenica di Giovanni Battista


La coincidenza della domenica con la festa di san Giovanni Battista, fa sì che oggi l’attenzione si porti a colui che fu il profeta incaricato da Dio a preparare gli animi e presentare poi al popolo ebraico Gesù di Nazaret come il messia atteso. Giovanni ha fatto da staffetta (pròdromos) che precede l’arrivo del personaggio. È questo un grande onore che la Chiesa intende riservare al profeta, per il posto particolare che egli occupa nei confronti di Gesù.

Il Signore perdoni i nostri peccati, per celebrare con frutto questa eucaristia.

Per la festa odierna di Giovanni Battista abbiamo interrotto le letture consuete delle domeniche, per concentrarci su testi che si riferiscono in modo specifico alla figura e alla missione di questo profeta. È una festa tutta particolare che gli viene riservata, ricordandolo non solo nel momento della morte, come tutti i santi, ma anche nella data della sua nascita terrena, come Gesù (Natale) e Maria ss.ma (8 settembre). La memoria di questo santo è stata fissata a tavolino, sei mesi prima del natale di Gesù. Di Giovanni si fa memoria poi anche nel giorno del suo martirio, il 29 agosto, data nella quale presumibilmente gli fu dedicata una chiesa, dopo che la sua tomba, in Samaria, venne profanata, e le sue reliquie bruciate e disperse, nel 362 d.C.

Tutti gli evangelisti e gli Atti degli apostoli parlano di lui. Nel Vangelo della vigilia si parlava della promessa della nascita di Giovanni, mentre nel vangelo di oggi è stata descritta la sua nascita: che ne sarà di questo bambino, diceva la gente, e la mano del Signore era con lui. Opportunamente come prima lettura della vigilia, è stato scelto un testo del profeta Geremia: Prima di formarti nel seno materno ti ho conosciuto, prima che venissi alla luce ti ho consacrato. Il tema è stato ripreso anche nella prima lettura di oggi, stavolta con le parole di Isaia, dove si parla del servitore fedele di Dio: Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. Bene si applicano a Giovanni queste parole. Ma penso che si applichino bene anche a ciascuno di noi. Dio ci ha pensati da prima ancora della nascita. Anche i nostri genitori pensavano a noi da prima ancora che nascessimo, mentre eravamo nel seno della mamma, ma noi siamo nel pensiero di Dio prima ancora che venissimo pensati dai nostri genitori e concepiti. Da allora siamo come degli uccellini appena nati nelle mani trepidanti di Dio. E anche a noi Dio dice: non temere, io sarò con te, tu parlerai in mio nome. Molto domenicana questa festa. Ma chiaramente si applica a tutti, anche ai non domenicani. Dobbiamo riflettere su questo nostro essere pensati e consacrati dal Signore, con una missione da svolgere. Non dimentichiamolo mai, pur in mezzo alle nostre difficoltà quotidiane, alle quali necessariamente dobbiamo far fronte. Non perdiamo mai di vista ciò che Dio ha fatto di noi e cosa si aspetta che noi facciamo, nelle situazioni concrete delle vita. È proprio nelle situazioni concrete che dobbiamo vivere questa nostra vocazione e consacrazione.

San Paolo, nel suo discorso nella sinagoga di Antiochia, parlando di Gesù accenna al profeta Giovanni il quale aveva una chiara coscienza della sua missione: non era lui il profeta, egli aveva soltanto il compito di richiamare tutti a cambiare vita, per accogliere degnamente l’inviato di Dio. Gli scritti del Nuovo Testamento parlano chiaramente di Giovanni come predicatore e battezzatore, ma anche per precisare meglio la sua missione nei confronti di Gesù. Perché effettivamente attorno a Giovanni si era costituita una grande corrente di spiritualità, molti erano diventati suoi discepoli, e godeva della simpatia e credibilità presso tutto il popolo, che lo riteneva veramente un uomo di Dio, un profeta coraggioso anche di fronte ai potenti. Gesù ha un bellissimo elogio di lui: nessuno tra i nati di donna è stato grande come lui. Ma poi alcuni erano rimasti fissati su di lui fino a non accettare Gesù, ed era un controsenso. È soprattutto l’apostolo Giovanni, che ha scritto molto tardi il suo vangelo, che affronta queste problematiche del rapporto tra il profeta e Gesù, tra i discepoli del Battista e i discepoli di Gesù. Ricordate le parole del prologo al vangelo di Giovanni: venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni, egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, e preparare un popolo ben disposto. Non era lui la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce, indicare la luce vera che illumina ogni uomo.

Anche la nostra missione è questa. Non siamo noi al centro dell’attenzione, non dobbiamo mettere noi stessi al centro, ma il Signore, fossimo pure molto bravi e radicalmente evangelici nei nostri costumi. Se uno si mettesse al centro e si ritenesse lui il salvatore e non Gesù, sarebbe totalmente fuori e deviante dalla verità È la storia anche di oggi: quanti in pratica si ritengono superiori a Gesù, e vogliono giudicare da soli ciò che vale e ciò non vale. È la storia anche di quanti vogliono vivere fuori della famiglia di Gesù, che è la chiesa, la quale, pur non essendo ancora tutta santa, non dimeno è il suo corpo, dove egli abita e dove lo Spirito santo tiene viva la verità tutta intera, e dona la sua grazia.

Il Signore ci salvi dalla presunzione di sentirci i migliori di tutti, depositari di tutta la scienza e di tutta la santità. Sia nostra umile preghiera quotidiana il salmo 138, che abbiamo cantato, che inquadra bene la nostra esistenza: sono opera delle mani del Signore, egli ha fatto di me una meraviglia stupenda.

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