lunedì 9 aprile 2012

O.P. omelie domenicane del triduo di Pasqua, del lunedì di Pasqua

Giovedì santo ’12 –


Iniziamo con questa celebrazione i tre giorni di festa della pasqua del Signore. Ci siamo preparati una quaresima intera per giungere e celebrare con animo puro questa ricorrenza che è il momento più alto di tutto l’anno, così come è stato il momento più alto della vita di Gesù. Questa mattina il vescovo con tutti i sacerdoti e i diaconi ha celebrato in cattedrale la memoria della istituzione del sacerdozio, cioè della partecipazione al sacerdozio del Signore, attraverso il battesimo e la cresima e attraverso il sacramento dell’Ordine. Siamo un popolo sacerdotale, tutti, seppure non tutti nello stesso modo. Diciamo ora al Signore che siamo qui per rinnovare il nostro impegno di essere suoi, mentre desideriamo ricevere da lui, ora, il perdono per i nostri peccati.

Siamo noi ora qui gli apostoli a cena col Signore, di quei dodici 11 erano senza coraggio, e uno stava per tradirlo. Ma poi tutti sono tornati, eccetto uno, che aveva perso la speranza. Se abbiamo imitato la loro debolezza, ci aiuti il Signore a seguirli nella loro conversione. Che il Signore dia anche a noi la conversione del cuore.

1° La celebrazione della cena del Signore di questa sera è il primo momento del triduo pasquale, della morte, sepoltura e resurrezione di Gesù, che costituiscono il momento culminante della vita di Gesù. Propriamente la messa di questa sera non appartiene al triduo pasquale, ma ne è una anticipazione sacramentale, nel gesto che Gesù ci ha lasciato come memoria (fate questo in memoria di me); un segno-memoria per non dimenticare ma soprattutto per rendere presente e contemporaneo a noi quell’avvenimento. Gesù dicendo: questo è il mio corpo che sarà dato per voi, questo il mio sangue che sarà sparso per voi, alludeva alla morte che avrebbe subito. Questo è anche il contenuto della nostra celebrazione della messa. Con la messa entriamo nella memoria, entriamo in quella storia che ora continua in noi e per noi.

2° I contenuti della eucaristia sono bene espressi nella preghiera con la quale abbiamo aperto la celebrazione. È una preghiera di nuova composizione, nella quale si è cercato di condensare i significati principali dell’ultima cena del Signore Gesù prima della sua morte. L’orazione parlava di una santa Cena nella quale il Figlio di Dio prima di consegnarsi alla morte, affidò alla chiesa un gesto memoriale da compiere, da rinnovare. Cosa ha voluto racchiudere Gesù in questo gesto memoriale?

- Anzitutto si tratta di una cena. Il gesto-memoria lasciatoci dal Signore è una cena, alla quale siamo invitati, e invitati non semplicemente ad essere presenti ma a mangiare e bere con lui: prendete e mangiate, prendete e bevete. È una cena che Gesù, prima di morire, prima di passare da questo mondo al Padre, ha voluto fare coi suoi amici, con tutta la bellezza e il significato simbolico di una cena con gli amici. Ma era di più che una cena con amici, era una cena di addio. Loro non lo sapevano, l’hanno imparato dopo, ma lui sì. Per noi non è una cena di addio, ma l’essere stata per Gesù una cena di addio indica che questa cena è stata il suo testamento spirituale, la sua vita, il suo messaggio, la sua eredità.

- In questa cena-testamento Gesù ha voluto dire stava consegnando se stesso nell’atto supremo di donare la propria vita, di una offerta totale di se stesso a Dio, di intercessione per il mondo. Ripetendo questa cena la Chiesa perpetua la memoria di quel dono che chiamiamo sacrificio. Dice l’orazione: In questa santa cena Gesù affidò alla Chiesa il suo nuovo ed eterno sacrificio. Nuovo, rispetto ai sacrifici dell’antico popolo ebreo, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, dove si narra l’esperienza della prima pasqua ebraica, alla cui celebrazione Gesù aveva partecipato ogni anno della sua vita. Ora al vecchio sacrificio ne subentra uno nuovo, non più di agnelli e buoi ma il sacrificio di un cuore d’uomo. Allora fu cruento quello di Gesù, non necessariamente sarà fisicamente cruento il nostro, ma interiormente lo deve essere: fino al sangue. Partecipare alla messa è farci uno con questa offerta di Gesù. Eterno sacrificio, significa che non c’è più bisogno di altri sacrifici, se non il nostro. La messa stessa non è un nuovo sacrificio di Cristo ma memoria di quell’unico sacrificio, col quale egli ha riannodato definitivamente i rapporti dell’umanità con Dio.

- La santa cena di Gesù è anche il convito nuziale del suo amore. Non solo una cena di amicizia, non solo una cena sacrificale, ma un convito nuziale. Il convito nuziale è quella cena che nell’esperienza umana rappresenta il massimo della festa. La messa è una cena nuziale, nella quale Gesù si offre alla sua sposa che è l’umanità, rappresentata dalla Chiesa, con il profondo desiderio che essa, noi, rispondiamo al suo amore nuziale e diventiamo una sola cosa con lui, come due sposi non sono più due ma una carne sola. Una carne sola significa una vita insieme in modo che la vita dell’uno sia vita dell’altro, il corpo dell’uno corpo dell’altro. Venite alla festa, si dice in una della parabole del Signore, quella degli invitati alle nozze.

- Cosa chiediamo per noi dalla nostra partecipazione alla santa Cena di Gesù? Dice l’orazione: perché attingiamo pienezza di carità e di vita. Perché diventiamo capaci, cioè, di amare come lui, di farci come lui corpo donato, sangue versato. Per esemplificare questo comandamento dell’amore, nella medesima cena Gesù ci ha dato un altro segno, quello della lavanda dei piedi agli apostoli, chiedendoci di fare anche noi altrettanto. L’amore che scende nei particolari, nei gesti quotidiani: emblematico quello di lavare i piedi. Questo gesto veniva compiuto dai servi verso gli ospiti. Ora è Lui, il maestro e il Signore, a fare questo, per insegnarci l’umiltà e il servizio, mentre noi siamo sempre alla ricerca di plausi, di riconoscimenti.

– Gesù tra spunto da questa lavanda dei piedi per insegnarci anche che per partecipare a questa cena dobbiamo essere puri nel cuore, puri dal peccato. Non tutti sono puri, aveva detto Gesù, alludendo a Giuda, sul quale san Giovanni nei suoi scritti non è molto tenero. Non gli ha mai perdonato d’aver tradito e consegnato il Maestro, per denaro. Gesù è stato di animo più grande di quello di Giovanni, e ha lavato i piedi anche a Giuda, e nell’orto l’ha chiamato ancora: amico. Quanto abbiamo ad imparare, tutti, dal primo all’ultimo.

- La celebrazioni della santa cena si prolunga poi nella memoria silenziosa della triste e angosciata preghiera di Gesù, dopo quella cena, quando con i suoi si ritirò nell’orto degli ulivi, dove invita anche noi, come Pietro e gli altri apostoli, a vegliare un’ora con lui. Due gli aspetti di questa nostra preghiera notturna: continuare personalmente la memoria dell’ultima cena, quanto ha fatto e detto; e vegliare con lui nella preghiera al Padre, decisi anche noi a che la nostra vita prosegua non come vogliamo noi ma come vuole lui. Questo è l’atteggiamento per celebrare con frutto questa pasqua, e l’atteggiamento che deve guidare tutta la nostra vita.



Venerdì santo, ‘12 –

Abbiamo ascoltato i testi della passione. Mi chiedo chi di noi sarebbe disponibile a far propria la pagina del profeta Isaia (Is 52,13-53,12) ascoltata nella prima lettura; chi saprebbe dire a Dio Padre: se è possibile, passi da me questo calice, ma sia come vuoi tu. Chi di noi accetterebbe quelle umiliazioni? Chi accetterebbe di essere nell’orto degli ulivi, chi in tribunale, chi al Calvario, in croce? Ingiustamente, per salvare il mondo.

Abbiamo ascoltato, anche nella Liturgia delle Ore: “È cresciuto come una radice in terra arida, senza bellezza e splendore, disprezzato, reietto, uomo dei dolori, uno di fronte al quale ci si copre la faccia, tanto è sfigurato il suo aspetto, disprezzato, senza alcuna stima.

Eppure si è caricato delle nostre sofferenze, dei nostri dolori, è stato trafitto in croce per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità.

Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì bocca, come pecora muta davanti ai tosatori. Con ingiusta sentenza fu tolto di mezzo, percosso a morte, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno sulla sua bocca.

Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dalle sua piaghe siamo stati guariti”.

Se il Signore Iddio ci dicesse che dalla nostra risposta dipende la salvezza del mondo, accetteremmo tutto questo? Forse sì. Ma un sì che rischia di essere solo formale, a parole, se poi ad ogni minima puntura di spillo reagiamo con violenza.

Sia sempre davanti a noi il bellissimo inno della 1 Lettera di Pietro, che riprende questa pagina di Isaia: Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme. Il Signore ci conceda di seguirlo con umiltà e generosità, anche se non siamo capaci di farlo tutti i giorni.

La nostra adorazione della croce che faremo tra poco sia espressione della nostra gratitudine e partecipazione. Sia una glorificazione, una celebrazione, come quando si fa la commemorazione di una figura illustre. Glorifichiamo il nostro Signore Gesù, che diede la sua vita per noi, con indicibili sofferenze, pur essendo innocente, e ha perdonato tutti noi.

Presentiamo ora con fiducia la nostra supplica a Dio Padre perché i frutti del sacrificio di Cristo si estendano a tutta la chiesa e a tutto il mondo.





Sabato santo ’12 –

Siamo al centro dell’anno liturgico e dell’esperienza personale di Cristo, la realizzazione del disegno di Dio insito nella stessa creazione: in Gesù tutto viene ricapitolato, cioè tutto ricomincia, e questa volta a lieto fine. Se il giovedì santo si concludeva col tradimento di Giuda e la preghiera nell’orto, “ed era notte”, notte profonda, non tanto nell’atmosfera quanto nei cuori; se il venerdì santo alla morte di Gesù si fece buio su tutta la terra, pur essendo giorno; questa sera, pur essendo notte, è sorta la luce, da un piccolo lume fino allo splendore del giorno. Si è ripetuto qui l’evento-luce della notte del natale. La pasqua è infatti il secondo natale di Gesù. Così sarà alla nostra morte, quando entreremo nel regno di luce e di pace di Dio. Nel battesimo ci è stato consegnato un lume da tenere acceso, e lo riaccenderemo tra poco. Lo ritroveremo alla nostra morte. Nella nostra tradizione domenicana, al morente si metteva in mano un cero acceso, quello battesimale: la luce che ci aveva rischiarato la vita della vita, doveva ora illuminare l’ultimo passaggio, verso la pasqua definitiva.

La vita è così un cammino con la pasqua nel cuore. La pasqua di Gesù è la garanzia della nostra speranza, della nostra pasqua. Quando tutto sembra buio, tristezza, angoscia, morte, deve sorreggerci la speranza della resurrezione. Giovedì nella messa crismale il vescovo ha parlato del prete e di ogni cristiano, come uomo della speranza, come segno di speranza, là dove sembrano esserci solo segni di morte, solo orto degli ulivi, tra solitudine, abbandoni e tradimenti.

Le letture bibliche che abbiamo ascoltato sono tutte pagine di speranza, di interventi di Dio che rovescia le situazioni, come cantava Maria nel Magnificat, e come cantano le beatitudini. La luce della creazione, la luce che ha illuminato la vicenda di Abramo, che ha guidato il popolo ebreo nell’uscita dall’Egitto, che ha rianimato i cuori di pietra di Ezechiele.

A fronte, le difficoltà in famiglia, in comunità! Se crediamo, se ci fidiamo e confidiamo nel Signore, la pasqua ci sarà perché il braccio di Dio non si è raccorciato. “Non lo sai forse? Non l’hai mai udito? Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica e non si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà la forza allo stanco, moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono. Ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi (Is 40, 28-31). Il Signore risorto sia la nostra forza.



Lunedì di pasqua, ’12 –

Primo giorno dopo pasqua. Oggi è il primo giorno del tempo pasquale, detto un tempo lunedì dell’angelo, per via del testo evangelico che veniva cantato, e che noi abbiamo proclamato invece nella veglia pasquale. Oggi è lo stesso Gesù risorto che ci viene incontro sulla via, come alle donne accorse al sepolcro, per confermarci nella fede in lui, in tempi in cui, oggi come allora, false dicerie tendono a rendere dubbioso il fatto della resurrezione o a negarlo. Come sempre all’inizio della messa, anche ora chiediamo la misericordia del Signore su di noi.

Il Signore è risorto, come aveva predetto, rallegriamoci tutti ed esultiamo, perché egli regna in eterno.

Per tutto il tempo di pasqua ci accompagnerà la lettura continua degli Atti degli apostoli, così detti, che narrano i primi passi della chiesa, dopo la pasqua di Gesù: la nascita della comunità di Gerusalemme; la prima espansione fuori di Gerusalemme, a causa della persecuzione che era scoppiata (Stefano e poi l’apostolo Giacomo); l’apertura ai pagani, con la conversione di san Paolo e Pietro che viene inviato dal Signore nella casa del pagano Cornelio; fino alla vicenda della predicazione itinerante di san Paolo, l’apostolo dei pagani (gentili). I salmi saranno quelli che riportano una qualche allusione profetica alla resurrezione, come il salmo di oggi, il salmo 15, che ritroviamo alla compieta del giovedì: non abbandonerai la mia vita negli inferi né lascerai che il tuo fedele veda la fossa (la corruzione).

Abbiamo ascoltato nella prima lettura la testimonianza di san Pietro nella sua prima evangelizzazione, il giorno della Pentecoste. È san Luca che riassume in questo primo discorso il vangelo di fondo degli apostoli, la bella notizia: questo Gesù (che è stato ucciso e sepolto), Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.

Quanto al vangelo, in questa prima settimana di pasqua ascolteremo le varie testimonianze dei quattro evangelisti sulla resurrezione di Gesù, mentre nelle altre settimane ci accompagnerà il vangelo di san Giovanni, il più pasquale dei vangeli, perché rivede tutta la vita di Gesù alla luce della sua esperienza a fianco di Gesù, e della sua maturazione sulla figura di Cristo, guidato dallo Spirito di verità. Per lui i miracoli sono dei segni dati da Gesù sulla sua identità e sull’amore di Dio Padre. La resurrezione è anch’essa una manifestazione dell’amore del Padre per quel suo unico figlio e per noi.

Vediamo in questo primo testo odierno sulla resurrezione, ad opera di Matteo, come Gesù vada incontro alle donne che erano andate al sepolcro e l’avevano trovato vuoto. Anche Matteo, come Marco, dice che le donne videro un giovane (l’angelo), e poi piene di timore misto a gioia, stavano andando di corsa dagli apostoli ad annunciare quanto avevano visto e udito. Ed ecco che Gesù venne loro incontro, le salutò, ed esse lo riconobbero. Sulla apparizione dell’angelo (o di due angeli) i quattro evangelisti sono tutti d’accordo, ma poi essi divergono in ciò che concerne le apparizioni di Gesù stesso. La Bibbia di Gerusalemme (BJ) ha una lunga nota su Mt 28,10, dove si mettono in evidenza le divergenze tra i vari racconti; ad esempio Matteo dice che i discepoli dovevano andare in Galilea, mentre Luca fa avvenire tutto a Gerusalemme. Ci sono apparizioni private a singole persone o ai due di Emmaus o al gruppetto delle donne; e apparizioni collettive agli apostoli, con intento missionario. San Paolo enumera 5 apparizioni (1 Cor 15, 3-7), di cui non c’è traccia nei vangeli o sono difficilmente accordabili coi vangeli. Tra le apparizioni private c’è anche l’apparizione a lui stesso, Paolo, nella quale Gesù lo ha istruito direttamente, e inviato come apostolo, pur non essendo stato nel gruppo dei discepoli. Paolo andò poi a confrontarsi con Pietro per vedere se aveva capito bene. Aveva capito bene, forse anche più di Pietro, in quel momento. Vediamo in queste apparizioni le molteplici azioni dello Spirito, il quale agisce contemporaneamente in Pietro e in Paolo, nel papa e nei teologi, i quali però devono confrontarsi col papa, quale garanzia di autenticità nella verità. La chiesa non è una piramide, ma un corpo, nel quale ogni organo è chiamato a esercitare la sua funzione per il bene di tutto l’uomo. Certo la testa è più importante dei piedi e delle mani, ma anche le mani e i piedi sono necessari, ma devono essere guidati dalla testa.

Il racconto evangelico mette in evidenza anche come siano nate subito delle difficoltà intorno alla resurrezione di Gesù. Allora erano autentiche bugie per depistare, ma oggi sono degli studiosi a interpretare in modo simbolico e non reale, la resurrezione di Gesù. Tuttavia le testimonianze sono troppo concordi sul fatto, anche se con dei particolari divergenti, dovuti ai racconti di gruppi diversi, per cui non possiamo precisare con esattezza come siano avvenute le cose. Del resto la resurrezione è un fatto non-storico, nel senso che non è controllabile, trattandosi di un fatto soprannaturale. Ma i segni lasciati sono chiari, e le esperienze dei testimoni che l’hanno incontrato sono altrettanto chiare. Se fossero state semplici dicerie, quelle degli apostoli, avrebbero resistito fino al martirio? La stessa nota della BJ conclude: Le stesse divergenze dei testimoni attestano meglio di una uniformità artificiosamente costruita, il carattere antico e storico di queste molteplici manifestazioni di Gesù risorto. Abbiamo fede. Il Signore è veramente risorto ed è vivo in cielo, anche col suo corpo glorificato. Ed ora egli è qui con noi, ci sta venendo incontro, per confermarci nella fede e nella nostra missione: andate ad annunciare ai miei fratelli. Molto domenicane queste parole. E le donne con timore e gioia grande corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.

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