domenica 29 aprile 2012

O.P. omelie domenicane 29aprile 2012

4ª dom. di Pasqua, B, ’12 – domenica del buon pastore


Giornata delle vocazioni, memoria di s. Caterina da Siena



Ho altre pecore che non provengono da questo ovile, anche quelle devo guidare, dice il Signore. Gesù il buon pastore vuole guidare tutti, anche i non cristiani, per questo motivo chiede anche ai suoi amici, a noi che vogliamo esserlo, di farci carico delle sue preoccupazioni, di camminare a fianco delle pecore, in suo nome. Dove sia il segreto di questo suo e nostro prenderci cura degli altri ce lo dirà lui stesso. Gli domandiamo intanto di accoglierci con benevolenza e misericordia, e di perdonare le nostre pigrizie nel rispondere al suo amore.

Molti i motivi di riflessione nella giornata di oggi: figura del buon pastore, giornata delle vocazioni, memoria di santa Caterina da Siena patrona d’Italia e d’Europa, nonché dottore della Chiesa.

Questa quarta domenica di pasqua Paolo VI dal 1964 ha voluto dedicarla alle vocazioni, cioè alla chiamata di ciascuno da parte di Gesù e alla risposta che ognuno deve dare al maestro che lo chiama. Il tema che papa Benedetto XVI ha voluto dare a questa giornata è che rispondere all’amore si può. Quando qualcuno ci ama, è possibile rispondere al suo amore, con slancio e gratitudine: sentirsi amati, sentire la tenerezza di qualcuno verso di noi, ci rende capaci di tante cose, di amare anche noi. Così si spiega perché tanti siano capaci di rimanere fedeli al proprio matrimonio, e altri di seguire Gesù nel prodigarsi verso altri, senza per questo sentirsi eroi. Alle volte però ci prendiamo cura di altri di malavoglia, perché costretti, ribellandoci al fatto di dover rinunciare a qualcosa, o molto, di noi stessi, del nostro tempo, della nostra libertà, delle cose che ci piacciono. Amare si può, ma non sempre si è capaci di farlo.

L’immagine del pastore che viene chiamato buono, è quello di chi è disposto a dare la vita per salvare le sue pecore: quello è un buon pastore, a detta di Gesù. Così è stato per lui, per cui a ragione egli può dire: io sono il buon pastore. Siamo convinti anche noi che il segno di un amore grande sia la disponibilità a sacrificare anche la propria vita per un altro. Al posto delle pecore mettete i vostri figli, i vostri nipoti, gli amici, le persone care, ma anche persone sconosciute che vedendole in pericolo ci slanceremmo per salvarle. Chi non soccorrerebbe un bimbo in pericolo, anche se non suo? Il dare la vita per un altro, è il segno di un amore grande che c’è anche dentro di noi. È che Gesù ha dato la vita sua per noi mentre gli eravamo ancora nemici, prima ancora che noi lo conoscessimo.

Pietro aveva guarito un povero storpio nel nome di Gesù. Lo storpio è simbolo dell’umanità prostrata e paralizzata, che Gesù vuole sollevare e rimettere in piedi. Nel nome di Gesù possiamo fare qualcosa. Gesù non fa differenza nemmeno di religione. Quando ha guarito i dieci lebbrosi almeno uno era samaritano. I miracoli Gesù non li ha fatti solo per gli ebrei e per le persone per bene. Vengono a mente le sue parole: ho altre pecore che non appartengono a questo ovile e devo guidare anche loro. Ho letto di un miracolo di guarigione avvenuto anni fa in un lebbrosario in terra d’Africa, ad opera nemmeno di cattolici ma di pentecostali (protestanti): dietro la preghiera della comunità furono guarite trenta persone, molte delle quali non cristiane, anche se c’erano altri cristiani in quel lebbrosario. Ci chiediamo poi perché trenta, e non anche gli altri. Ma questi sono i segni di Dio per dire: ci sono. Abbiate fede.

Abbiamo l’esempio anche di santa Caterina, che ricordiamo oggi, la quale ha dato letteralmente la sua vita per Cristo e il suo regno, anche se non è morta martire. Era una laica domenicana, non una suora o una monaca. Possiamo distinguere tre periodi nella vita di Caterina. Il primo comprende la prima parte della sua vita, fino a vent’anni, caratterizzato da lavori casalinghi e una intensa e continua preghiera con Gesù, che considerava il suo sposo. Il Signore la favorì di grandi esperienze mistiche. Poi il Signore la fece uscire di casa e la lanciò in mezzo alla gente, per operare quanto aveva imparato dal suo Signore. Furono dieci anni intensissimi, di opere di misericordia per poveri, ammalati, carcerati, condannati a morte, di pacificatrice tra le città, di ambascerie presso il papa; a Firenze mise a repentaglio la sua stessa vita, e si salvò per miracolo. Fu instancabile, sino alla fine della sua vita. Morì a 33 anni, consumata. Gli ultimi due anni, terzo periodo, sono stati i più intensi, quando si consumò letteralmente a Roma, per impedire e far rientrare il grande scisma che scoppiò all’interno della chiesa cattolica, e che durò poi per una quarantina d’anni, con la divisione della cristianità in due o tre gruppi, ognuno parteggiante per un papa o l’altro. Anche i santi erano incerti: chi parteggiava per uno chi per un altro papa.

C’è un verbo, riferito al pastore buono, che lo caratterizza: conoscere, che nel linguaggio biblico è il verbo dell’amore. Il conoscersi a fondo è possibile solo nell’amore, nel vivere in sintonia con la disponibilità a farsi carico dell’altro, come si dice nel matrimonio: io accetto te nella mia vita, come mia sposa, come mio sposo; potremmo aggiungere: come mio figlio, come mio nipote, come mio nonno/a, mio zio/a, come mio fratello. E questo, esteso a tutti: ho altre pecore che non provengono da questo ovile, che non sono (ancora) mie, o non si riconoscono tali, ma che devo guidare; l’amore mi spinge a prendermi cura e dare la vita anche per loro. I nostri impegni quotidiani, necessari, non ci facciano dimenticare il nostro essere dei buoni pastori. Prendiamoci cura anche dei mussulmani che sono tra noi, come fa Gesù, che ugualmente tutti vuole guidare.



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