domenica 21 agosto 2011

Don Giulio, domenica 21 agosto 2011

21ma domenica del tempo ordinario

VANGELO DI RIFERIMENTO

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.









RIFLESSIONE





21 agosto 2011

LA RISPOSTA È ESATTA SE TI TREMA LA VOCE

21ma domenica del Tempo Ordinario









“La gente chi dice che sia il figlio dell’uomo?”.

La domanda di Gesù sembra un sondaggio di opinione, ma in realtà lui vuole sapere qualcosa di molto più importante: “voi chi dite che io sia?”.



È la domanda che non manca mai tra due che si amano: "Chi sono io per te?

Non mi interessa sapere quello che dicono gli altri.

Mi interessa solo quello che pensi tu, quello che rappresento davvero per te".



"Chi sono io per te?" è la domanda vitale tra due che si amano.





​Pensiamo alle parole della famosa canzone "A te" di Jovannotti:

"A te che sei l’unico al mondo,

l'unica ragione per arrivare fino in fondo ad ogni mio respiro.

Quando ti guardo, dopo un giorno pieno di parole senza che tu mi dica niente,

tutto si fa chiaro.

A te che sei, Semplicemente sei, Sostanza dei giorni miei.

A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più.

A te che hai dato senso al tempo, senza misurarlo.

A te che mi hai insegnato i sogni e l’arte dell’avventura.

A te che credi nel coraggio e anche nella paura.

A te che cambi tutti i giorni e resti sempre lo stesso.

A te che hai reso la mia vita bella da morire,

che riesci a render la fatica un immenso piacere,

a te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,

a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più...".





Ognuno di noi ha bisogno di sentirsi riconosciuto

nella propria identità segreta, invisibile all’apparenza,

quell'identità che solo uno sguardo d’amore vero può raggiungere e sfiorare.





Tutto dipende dallo sguardo che sentiamo su di noi.

Lo sguardo di chi conosciamo appena ci lascia indifferenti,

ma lo sguardo di chi ci ama ci è decisivo. E spesso vale più di mille parole.

Quante volte un'occhiata riesce a bloccarci o un incontro di occhi ci dà forza.

Ciò riguarda chi ci è accanto, ma riguarda anche Dio:

come noi guardiamo Dio e anche come Dio si sente guardato da noi.



È come se Gesù oggi, nella sua domanda, cercasse i nostri occhi,

cercasse non parole di attenta riverenza, ma uno sguardo di amore:

“Voi chi dite che io sia? chi sono io per te?”.





È sempre tremendamente difficile rispondere a questo interrogativo.

Una persona è un universo profondo.

Le parole, anche quelle più poetiche e perfette, sono comunque povere,

incapaci e insufficienti di dire l’amore fino in fondo.





Penso allora questo: il valore della risposta di Pietro

non sta nella esattezza dei termini, ma nella vibrazione della sua voce.



I termini sono senza dubbio precisi: "Tu sei il Cristo".

Ciò che conta di più però è l’amore che fa vibrare quelle parole.

Capisci se una persona ti vuole bene davvero

non quando te lo dice o solo perché te lo dice

ma quando le trema la voce nel dirtelo.



Al Signore non interessano frasi scontate, formule ereditate,

preghiere ripetute perfettamente a memoria.

Il Signore più che ascoltare le parole che diciamo

sta attento al vibrare della nostra voce.





Quante volte ci succede con chi amiamo che un grido di rabbia sia amore condensato.

Ci rimaniamo male e ci agitiamo proprio perché amiamo.

Se una persona ti è indifferente, non ti mette il cuore in tempesta.

Così succede anche con Dio: ci si può rivolgere a lui con parole cortesi e carine,

come con tanta gente che ci capita di incontrare ma non di frequentare,

che abbiamo vicino ma non dentro.

Oppure, al contrario, ci si può arrabbiare con Dio, proprio perché il cuore freme

e vorremmo capire ciò che vuole o vorremmo sentirlo più vicino.

Il primo caso è buona educazione o deferenza per convenienza,

il secondo è calore di un legame vero, pur se a volte può essere faticoso.





Il Vangelo di oggi ci porta a questo: al Signore interessa la nostra risposta personale,

che è fatta di tutto ciò che siamo: dal nostro carattere, dalla nostra storia,

che è fatta dalle nostre ferite e dalle delusioni,

che è fatta dalle nostre speranze e dalle nostre qualità,

che è fatta anche dal colore dei nostri peccati di sempre

e dal gusto dei nostri gesti di amore vero.



Allora proviamo, per una volta, oggi, a dare più attenzione al tono della nostra voce

più che alle parole che diciamo, nel rispondere a quella domanda:

"ma io chi soni per te?".

Ce la rivolge chi abita il nostro cuore. Ce la rivolge Dio. Ce la rivolge chi diciamo di amare.





Detto in altro modo, chiediamoci: se smettessi ora di essere cristiano,

cambierebbe qualcosa nel mio modo quotidiano di essere?

sarebbe diverso il mio modo di affrontare l’esistenza?

qualcuno si accorgerebbe che è cambiato qualcosa in me?





Se smettessi ora di amare quella persona,

cambierebbe qualcosa nel mio modo quotidiano di essere?

sarebbe diverso il mio modo di affrontare l’esistenza?

qualcuno si accorgerebbe che è cambiato qualcosa in me?





Attenzione: la risposta è esatta solo se ci trema la voce!





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