sabato 10 luglio 2010

Don Giulio, domenica 11 luglio 2010

IL PROSSIMO, GRAZIE!
15ma domenica del Tempo Ordinario C

L’esperto in legge, il sapientone, si alza per provocare Gesù:
“E chi è il mio prossimo? Vivere come? Dio cosa vuole?”.
Gesù non entra in competizione, taglia corto con semplicità.
Secondo Gesù, per godere basta imparare a dire grazie,
per esser contento basta guardarsi intorno,
per trovare pace basta accettare il limite e lasciarsi curare.

Noi siamo convinti del principio “ama il prossimo”,
il problema è che troppo spesso nelle relazioni quotidiane
intendiamo “il prossimo” come “il successivo”:
“il prossimo, grazie!”, cioè “quello dopo… non questo”.
A fare il bene, nel Vangelo di oggi, non è chi ci si aspetta
(il “prete” e il “laico impegnato” vanno oltre…),
ma un extra-comunitario, un non-credente, uno che passa
(il termine “samaritano” era usato come “bastardo”).
“La prova che una persona ha incontrato Dio
non è nel modo in cui parla di Dio,
ma nel modo con cui guarda alle cose del mondo” (S. Weil).

La scena è la strada scende da Gerusalemme a Gerico,
dalla santa “città della pace” alla concreta città del mercato.
E’ la strada della nostra vita, quando sicuri di noi stessi,
crediamo di potere viaggiare da soli, presuntuosi,
con quella spavalderia che non ti fa fare bene i conti
con te stesso e poi ti trovi a terra sfinito e pieno di lividi!
Vede e si accorge solo chi sperimenta la stessa fatica.
Chi ama davvero comprende senza giudicare.

Nella mia vita ho avuto tanto bene da chi non mi aspettavo,
da chi non avevo considerato o anche giudicato male.
Ma ogni volta incappo ancora negli stessi “briganti”,
negli stessi errori che mi lasciano mezzo morto,
ferito sul ciglio della strada della quotidianità,
sotto gli occhi dei passanti ben-pensanti e ben-credenti.
Non mi stanco però di stare in attesa di Qualcuno
che non si giri dall’altra parte, ma si fermi e mi sorrida.

Prendiamo in mano oggi la contraddizione del nostro cuore.

Spesso non ci accorgiamo che Dio non fa mai mancare
nella nostra vita dei “samaritani” che ci vengono incontro.
Quante volte non abbiamo permesso a Dio di avvicinarci,
solo perché pensavamo che l’aiuto ci arrivasse da altri,
da chi noi volevamo o pensavamo e invece...

E poi quante volte siamo stati noi stessi “briganti”
spogliando gli altri della loro dignità e del loro onore,
o quante volte, peggio, siamo passati oltre noi stessi,
facendo finta di non vedere la nostra debolezza,
per non guardare in faccia alle nostre ferite.
Quante volte non siamo capaci di amare gli altri
perché non amiamo davvero noi stessi per primi.

Pensando a quel “va’ e anche tu fa’ lo stesso!” di Gesù,
mi è venuto in mente un ironico passaggio di Trilussa:
“Na lumachella ch’era strisciata sopra un obelisco de Roma,
guardò la bava e disse:
«Già capisco che lascerò un’impronta ne la storia»”.

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