venerdì 26 marzo 2010

Don Giulio, 28 marzo 2010 Domenica delle Palme

28 marzo
Domenica delle Palme

L'inizio della Settimana Santa, cuore dell'anno cristiano,
chiede una riflessione più lunga del solito...
Buona settimana santa!
don Giulio


LA PARTITA A CARTE DELLA VITA
Domenica delle Palme – inizio della Settimana Santa

Se mettiamo in fila gli strumenti della passione sono:
denari, spade, bastoni e coppe.
I denari dati a Giuda per vendere Gesù,
i bastoni di chi accompagna il traditore nella notte,
le spade dei soldati romani che tengono Gesù prigioniero
e le coppe: quelle dell’ultima cena (due secondo Luca),
quella amara del Getzemani e quella di aceto sulla croce.

Denari, bastoni, spade, coppe:
sono le carte con cui da sempre il mondo gioca la vita.
Le variazioni sono infinite.
Ognuno usa queste stesse carte in modi diversi
nella partita della vita,
alla fine della quale comunque si perde,
perché vince sempre lei: la morte.

Anche Dio ha voluto giocare questa partita della vita
e Gesù l’ha giocata fino in fondo,
fino alla fine, fino all’estremo.
Dopo questo gioco di denari, spade, bastoni, coppe…
lo crocifissero.

La croce va considerata per quello che è realmente
come la pena di morte più atroce esistita nella storia,
perché la morte per crocifissione è atroce e lenta.
Sulla croce il peso del corpo comprime i polmoni
e quindi il condannato muore soffocato lentamente.
Finché uno ha forza, si solleva sulle braccia
e ciò gli permette di respirare,
ma quando non ne può più,
si lascia andare e muore soffocato da se stesso.

Se poi inchiodato, anche i crampi nei muscoli
e il lento indebolirsi per la perdita del sangue,
corrodono lentamente le forze.

È una pena che trasforma la forza di vita in dolore:
l’agonia si prolunga in proporzione alla vitalità.
Più hai forza, più resti in vita, più soffri.
È una morte che viene progressivamente dal di dentro
e finisce solo quando ha spremuto l’ultima goccia di vita.

Mi sono perso a descrivere questi dettagli crudeli
perché compresa così la crocifissione è ancora di più
simbolo di quella partita che è la nostra vita:
hai le cose da fare che ti dissanguano goccia per goccia,
hai le ferite aperte e i lividi delle bastonate della vita,
ma è il peso di te stesso che ti fa soffocare.

“Scendi dalla croce!”, così provocano Gesù.
“Scendere dalla croce”
è ciò che ognuno di noi cerca di fare:
salva te stesso, pensa a te, pensa prima ai tuoi interessi,
pensa a ciò che ti garantisce di sopravvivere.

Se Gesù cercasse di salvarsi e scendesse dalla croce,
corrisponderebbe solo alla proiezione dei nostri desideri.

Noi siamo specialisti nello scendere dalla croce,
magari e soprattutto per poterci appendere gli altri.
Lui, Gesù, è Dio
proprio perché gioca se stesso fino in fondo.
Gesù non ci ha salvato con la sua “azione”,
ma con la sua “passione”.

Per questo noi diamo importanza al Crocifisso.
La croce non è tanto un oggetto da mostrare e difendere,
ma IL Crocifisso per noi è strada, luce, sostegno, energia:
è colui che fa di un gesto d’amore la sua essenza.

Lui si fa crocifiggere per essere con noi
anche in quel punto dove tutti passiamo da soli: la morte.
Così Dio con la croce riesce a metterci in dubbio
anche l’ultima certezza che ci era rimasta
nel gioco delle carte della vita: la morte!

Di fronte al burrone della morte, alla sua morte di croce,
o alle nostre morti interiori per fallimenti, delusioni, ferite,
noi abbiamo sempre le vertigini.

Per comprendere queste vertigini,
alla luce del messaggio del Crocifisso Risorto,
vorrei raccontarvi la storia di un bambino, Steven,
di 9 anni, paralizzato e bloccato sulla sedia a rotelle
da un tragico incidente stradale in cui ha perso il papà.

Nei giorni vicini alle vacanze di Pasqua,
l’insegnante diede a tutti gli alunni un uovo di plastica,
vuoto nel mezzo, con il compito di riempirlo
con qualcosa che dicesse, secondo loro,
il senso della festa che si celebra, il senso della Pasqua.

L’insegnante avrebbe aperto le uova portate dagli alunni
commentando i simboli scelti dai ragazzi,
ma era alquanto preoccupata di non urtare la sensibilità
di Steven e ciò la metteva in agitazione.

Aprendo il primo uovo
la maestra trovò un bellissimo fiore, giallo splendente.
Pensò tra sé: “Non è sicuramente il suo!”.
Allora tranquilla disse: “Questo fiore è simbolo
della natura che fiorisce e rinasce.
Pasqua è un risveglio di vita!”.
Un bambino, non Steven, si alzò in fondo alla classe
dicendo: “Maestra, è il mio!”.

In un altro uovo trovò una farfalla che subito volò via.
La maestra pensò: “Questo può essere quello di Steven,
perché per lui la vita è volata via in quell’incidente”.
Commentò: “È un bellissimo simbolo della Pasqua,
si rompe il guscio per passare da una vita ad un’altra,
dalla crisalide alla farfalla, dalla terra al cielo”.
Ma un altro bambino, non Steven, disse: “Maestra è il mio!”.

In un terzo uovo la maestra trovò un pezzo di roccia
e pensò che fosse sicuramente quello di Steven,
solo per lui la vita poteva essere così dura
da vedere in un sasso il simbolo della Pasqua.
“Anche la roccia può essere un bel simbolo di Pasqua:
sulla roccia poggiano le fondamenta delle nostre case,
come sulla forte roccia dell’amore si fonda la nostra vita.
Poi ci ricorda la grande pietra del sepolcro di Gesù
che è stata trovata ribaltata il mattino di Pasqua”.
Con gran fatica la maestra aveva trovato una motivazione.
Ma un altro bambino, non Steven, disse: “Maestra è il mio!”.
L’insegnante aprì poi un altro uovo e vide che era vuoto.
Un silenzio gelido avvolse la classe.
Steven, alzando la mano disse:
“Maestra, non dici niente sul mio uovo?”
“Perché è vuoto?”, chiese la maestra arrossendo dal disagio.

Steven le rispose: “Anche Maria, la mamma di Gesù,
le altre donne e i discepoli quando corsero al sepolcro
il mattino di Pasqua lo trovarono vuoto!
Anche il vuoto può diventare
un messaggio pieno di forza e speranza”.

Un silenzio, pieno di vertigine, avvolse la classe.
Era lo stesso silenzio del sepolcro il mattino di Pasqua.
Steven con quel vuoto gravido di silenzio aveva insegnato
alla sua maestra, ai suoi compagni – e a noi oggi –
il vero significato della Pasqua:
senza Dio il mondo è un assurdo,
con Dio il mondo è un mistero;

senza Dio la vita è un giorno che si spegne verso la notte,
con Dio la vita è una notte che si scioglie sempre
in una nuova alba.

Per dirla con le parole moderne del cantautore Jovannotti:
“La vertigine non è paura di cadere ma è voglia di volare.”.

Il celebre drammaturgo Achille Campanile,
in un suo testo pone un dialogo tra un credente e un ateo.
Al primo che diceva: “Io sono credente
ma afflitto dal dubbio che Dio non esista”
l’altro rispose: “Io peggio! Io invece sono ateo,
afflitto dal dubbio che Dio esista realmente [ed è terribile!]”.
Sia questo l’augurio più bello di questa Pasqua,
di fronte alle vertigini dei silenzi dei misteri della vita,
di fronte al vuoto che ci fa rimbombare il cuore e la testa,
di fronte alle partite incerte delle nostre storie,
di fronte agli ori, bastoni, spade, coppe
con cui sempre deve giocarsi la nostra vita,
il Crocifisso Risorto, che ha battuto la morte,
ci sussurra che “la vertigine non è paura di cadere
ma è voglia di volare”.

 

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