venerdì 9 aprile 2010

Don Giulio, domenica 11 aprile 2010

11 aprile 2010

FERITE E FERITOIE
II domenica di Pasqua C

Non fu facile nemmeno per i discepoli e i primi cristiani credere alla Risurrezione e il Vangelo oggi ce lo dimostra.
Nel cenacolo c’era ancora il posto vuoto di Giuda,
Pietro aveva ancora gli occhi lucidi per le lacrime
che aveva versato nel cortile dopo il tradimento,
agli altri facevano ancora male le gambe
tanto erano scappati di corsa e lontano per la paura.

Gesù è già risorto e la notizia è già arrivata da tempo,
ma per gli Apostoli non era ancora Pasqua.
Questo ci fa pensare: la Pasqua va accolta, va “fatta”…
la Pasqua è arrivata e passata, ma noi ci siamo arrivati?

Capita più frequentemente di quanto non si creda
di rimanere chiusi nella tana della propria paura
o di asserragliarsi nella stanza della propria presunzione.
La paura di perdere impedisce di giocare in pienezza.
La paura di rischiare svuota il vivere di gioia.

Ma Dio non ha paura della misera debolezza dell’uomo.
Ed è proprio quello che avviene in quella domenica sera…
Le paure vengono soprattutto di sera… ma anche Gesù!

Farsi trovare nella melmosa palude della propria tenebra
o lasciarsi pizzicare sul piedistallo della presunzione
diventa così una condizione per incontrare Gesù.
Oggi siamo qui per dire grazie al Signore, con Tommaso,
per tutti i dubbi, le difficoltà e i sospetti
che ci sono sulla strada della nostra fede.
Se qualcuno ci telefonasse per dirci che abbiamo vinto
una vagonata di milioni al superenalotto… dubiteremmo…
Il Signore ci dice che abbiamo vinto molto di più,
che abbiamo vinto la morte… e dobbiamo crederci subito?
Se non ci vengono dubbi vuol dire che c’è in ballo poco…

Penso che stia qui il segreto del bellissimo gesto di Gesù:
oggi, ancora, ci fa mettere il dito nelle sue ferite aperte.
Noi siamo oggi queste ferite sempre aperte di Gesù,
noi siamo ciò che lui ha per dimostrare a tutti che è risorto.
Fare pasqua è vedere le nostre ferite diventare feritoie!
Proprio attraverso ciò che ci brucia e che ci fa più male,
il Risorto fa passare quel raggio di luce che è la sua pace.
Se queste ferite guarissero il mondo non avrebbe più luce!

“Fare” Pasqua significa mettere il dito nelle ferite,
mettere il dito nelle nostre crisi, paure e debolezze,
perché una lama di luce ridoni vita al nostro piattume.
Fare Pasqua è sentirsi entusiasti anche se trafitti,
appassionati anche se appesantiti dal ripetersi delle cose.

Che la luce della sua pace passi dentro queste feritoie!
Che il Signore ravvivi sempre nella vita delle nostre famiglie
momenti di tenerezza capaci di sostenere poi ogni difficoltà.
Che insegni al nostro cuore sentimenti vivaci sempre, appassionati sempre, attenti sempre, accoglienti sempre.
Che ci doni di incontrare nel nostro cammino
persone “normalmente eccezionali” il cui rapporto con noi
susciti un desiderio intenso di legami teneri e profondi,
esigenti e misericordiosi, appassionati e appassionanti.

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